Case del parroco e del medico
Le due abitazioni che, visibili da ogni angolo del villaggio operaio, sono collocate al di sopra di un terrazzamento rialzato rispetto alle altre e che sembra ne veglino il sonno tranquillo erano quelle assegnate al cappellano, quella più piccola, a destra per chi guarda dal villaggio, e al medico, un po’ più grande, per ospitare anche la sua famiglia, l’altra.
Dalle loro finestre pare ancora che debbano affacciarsi coloro che un tempo avevano il meritevole compito di curare le anime e i corpi dei lavoratori della fabbrica e delle loro famiglie.
Il ruolo di queste due figure, tra le poche che all’epoca erano in grado di leggere e di scrivere, viene urbanisticamente e architettonicamente evidenziato attraverso la posizione delle dimore assegnate loro, distanziate e, appunto, rialzate dalle altre, quasi a simboleggiare un distacco dal ceto operaio e dalle attività manuali della fabbrica ed esaltarne una maggiore importanza.
Del resto tali figure avevano, nel diciannovesimo secolo, un ruolo sociale di grandissima importanza che andava anche oltre la loro funzione.
I preti, scriveva Paul Lafargue già più di un secolo fa, tornano sempre utili quando c’è da far ingoiare alla gente una disgrazia, far sopportare una sofferenza, vincere la fatica e, a volte, lo stremo.
Giulio Vavassori, una vita vissuta all’ombra dello stabilimento, ricordava che “Silvio Crespi era una cattolico molto ligio al dovere religioso e volle che la vita spirituale del villaggio fosse amministrata da un cappellano da lui direttamente assunto. In questo senso entrò anche in una garbata polemica con il vescovo di Bergamo, al quale definì con meticolosa precisione le caratteristiche del cappellano ed i doveri ai quali questi si sarebbe dovuto sottoporre”.
Se il cappellano rappresentava il sostegno spirituale degli operai dell’infernale macchina produttiva, il medico rappresentava, invece, l’occhio vigile dell’imprenditore sulla salute delle maestranze. Da un lato una attenzione necessaria a garantire una miglioria sociale in un epoca falcidiata da malattie banali ma mortali, dall’altro un controllo sulle condizioni della salute dei dipendenti che evitava e limitava il fenomeno dell’assenteismo ingiustificato.
In questo modo il medico di fabbrica poté porsi come funzionario pubblico, selettore della forza lavoro, regolatore della sanità e perciò della qualità e della continuità della prestazione lavorativa.
Il lettore tenga presente che le condizioni di vita coeve al periodo oggetto di analisi erano, a dir poco, ancora deficitarie sotto il profilo igienico.
Inoltre, il retroterra storico deve tenere in considerazione che Crespi d’Adda nasce ereditando la malfamata opinione per cui la città industriale è sinonimo di luogo malsano e insicuro, più che di un luogo produttivo e dinamico.
D’altro canto, ancora per tutto l’Ottocento nelle campagne italiane la figura del medico, distante e spesso ignorata, fu recepita con diffidenza e sospetto, anteponendogli gli interventi terapeutici che il sapere tramandato insegnava e, al più affidandosi alle terapie miracolistiche imbonite in occasione di fiere o mercati da chi medico non era.
Tra le malattie tipiche del periodo vi era il rachitismo, diffuso dove le abitazioni erano umide, poco soleggiate, mal areate e anguste, che iniziò a diffondersi anche come malattia professionale che colpiva soprattutto i bambini occupati nelle nascenti industrie, in particolare nei cotonifici dove si usava tenere bagnati permanentemente i locali per mantenere umido il cotone. Secondo gli osservatori del tempo l’espansione dell’industria era anche responsabile dell’aumento della scrofola.
L’analisi dell’aspetto esterno delle due costruzioni ci porta ad osservare gli elementi decorativi delle strutture, tipici dello stile neogotico lombardo diffusamente sviluppato all’interno del villaggio, che, seppur con un disegno semplice ma di grande impatto scenografico e con materiali poco costosi e di facile reperibilità come il cotto, impreziosiscono la modesta forma cubica a due piani di pianta rettangolare. Le decorazioni sono ben visibili nei contorni delle finestre, dove i mattoni, disposti l’uno a fianco dell’altro, incorniciano l’affaccio, nella linea decorativa a greca realizzata in prossimità del sottotetto, e tra le finestre del primo e quelle del secondo piano dove, percorrendo tutto il perimetro dell’abitazione, ne individua idealmente la linea di divisione tra i piani. Come a segnalare la demarcazione di due piani in una linea perimetrale detta marcapiano.
Le abitazioni avevano un ampio giardino digradante verso il villaggio di cui godono un panorama quasi totale al termine del quale, in prossimità dell’attuale via progresso, è ancora presente una apertura che consentiva al cappellano e al medico di raggiungere tempestivamente il villaggio in caso di emergenza. Affacciate, inoltre, su Via Stadium, godevano di una entrata di servizio, più riservata, su questo passaggio.